Oltre la metà delle ricette salate italiane prevedono un soffritto iniziale. E la maggior parte di esse prevedono non un soffritto qualsiasi, ma un soffritto all’italiana. Avete presente il «tritate finemente cipolla, sedano e carota e fateli rosolare nel tegame con un filo d’olio»? Ecco, questo è il soffritto all’italiana nella sua versione più nota e utilizzata.
È un caso che un così gran numero di ricette inizino con il soffritto? Ovviamente no: il fondo iniziale serve a dare spessore alle pietanze e a definirne il corpo aromatico. È un elemento importantissimo, cui i veri chef, quelli con la C maiuscola, danno un valore che noi comuni mortali non immaginiamo. Ce ne sono molti, soffritti e non, ciascuno con le proprie regole.
Regole che qui sintetizziamo con specifico riferimento al soffritto all’italiana, appunto. Cioè al trito di cipolla, sedano e carota cotto a bassa temperatura in un grasso. Quest’ultimo può essere olio, burro, guanciale, lardo o uno dei numerosi altri della tradizione italiana.
Inoltre diamo anche alcune brevissime indicazioni sulle principali variazioni di questo soffritto. Che in pratica si riducono all’uso di poche verdure aromatiche alternative (aglio, porri e scalogni) con eventuali aggiunte di erbe aromatiche.
Soffritto all’italiana: poche regole, ma importanti
Proporzione tra gli ingredienti
Non c’è una regola precisa. Si va a gusto, tant’è che ricettari e siti Internet sono quasi sempre molto generici. L’indicazione più frequente è di soffriggere “una carota, una cipolla e una costa di sedano”. Cosa che praticamente non vuol dire niente. Ci sono carote che pesano 2-3 volte più di altre carote e cipolle che pesano anche 4-6 volte più di altre cipolle. Lasciamo poi perdere “la costa di sedano”, espressione che va quasi sempre intesa come “un pezzo di sedano non più grande di un terzo di costa”.
Nel celebre ricettario di Pellegrino Artusi (del 1891) il soffritto all’italiana in genere prevede “mezza cipolla, una carota e due pezzi di sedano lunghi un dito“. Proporzione che, più o meno, sembra prevedere un peso uguale per i tre ingredienti. E questa percentuale (cipolla, carota e sedano in parti uguali) si ritrova anche in vari altri ricettari fino a tempi recenti.
Oggi, però, molti cuochi rinomati preferiscono (e nelle loro pubblicazioni consigliano) un soffritto all’italiana con prevalenza di cipolla. Ovvero: sedano e carota in parti uguali, più cipolla con peso uguale alla somma degli altri due. Questa (2 parti di cipolla, 1 parte di sedano e 1 parte di carota) è la percentuale che vi consigliamo anche noi. Senza tuttavia fissarsi troppo con le regole: ci sono cuochi celebri, che consigliano 3 parti di cipolla, 1 di carote e 1 di sedano.
Tritare fino
Questo vale sempre, ma in particolare occorre che il “fino” sia più fino degli altri ingredienti presenti nella ricetta. Quindi, se fate uno spezzatino si può accettare un trito più grossolano. Se invece cucinate un risotto il trito deve essere davvero finissimo, non più grande dei chicchi di riso cotti.
Ci sono dei valori di riferimento per orientarsi sulla grandezza delle verdure tritate? Si. Ci sono dei valori di riferimento che tecnicamente gli chef definiscono con due parole francesi: Mirepoix e Brunoise.
Il Mirepoix è un trito più grossolano, con le verdure tagliate a cubetti di grandezza variabile tra 4 e 8 mm. Il Brunoise è invece un trito finissimo, con cubetti di circa 2 mm. Quest’ultimo si ottiene con un doppio taglio incrociato: prima si tagliano le verdure a julienne, poi si incrocia il taglio per ottenere i minuscoli cubetti.
Quando tritare? Di regola a crudo, prima di iniziare la cottura. È però una regola che vale solo se il trito non deve essere finissimo.
Ovviamente è possibile fare un trito molto fino anche a crudo. Ma la cosa richiede pazienza, tempo e anche strumenti adeguati. Così, se volete un soffritto all’italiana tritato finissimo, è spesso consigliabile tritare due volte. Fate un primo trito grossolano e poi procedete alla cottura. Quindi togliete il soffritto dal tegame, tritatelo finissimo (con le verdure cotte è molto più semplice e veloce) e poi proseguite con la ricetta.
La pratica del tritare due volte è spesso necessaria anche per altre esigenze. Per esempio nel caso dei risotti, quando sono previsti sia il soffritto, sia la tostatura del riso. È infatti impossibile tostare bene il riso in una pentola che contiene il soffritto. Delle due l’una: o brucerebbe il soffritto, oppure non tosterebbe il riso. La soluzione è appunto quella di fare un soffritto grossolano e poi toglierlo. Quindi si tosta il riso, e infine si rimette il soffritto dopo averlo tritato finissimo.
Stesso discorso vale per molte altre ricette, in particolare quelle che prevedono di far soffriggere (dorare) la carne.
Per tritare la classica lunetta va benissimo. Sappiate però che nei ristoranti stellati non si usa. I cuochi professionisti tritano con il trinciante: l’apposito, pesante e versatile coltello d’acciaio, con lama lunga 20-25 cm, che oggi gli chef considerano insostituibile.
La cottura
Il trito all’italiana deve cuocere a fuoco minimo e lentissimo, proprio con il fuoco più basso possibile. Le verdure devono rilasciare lentamente i loro aromi, mentre appassiscono fin quando la cipolla assume un colore ambrato. Ma ambrato, non bruciacchiato: non si deve MAI sentire il retrogusto di cipolla soffritta. E quindi occorre il tempo necessario. Che non sono mai “un paio di minuti”, ma almeno 8 per un soffrittino minimo e spesso, in base alla quantità, anche 20 o 30 minuti.
Per sostenere questi tempi di cottura, senza far bruciacchiare le verdure, oltre al fuoco dolcissimo aiuta anche una pentola adeguata (possibilmente antiaderente, oppure con uno spesso fondo radiante) da tenere sempre coperta (in modo da ridurre l’evaporazione). Inoltre si aggiunge un po’ di grasso, che tradizionalmente è sempre stato quello disponibile in base alla stagione, al posto e ai gusti.
Oggi si usa generalmente olio di oliva (quasi sempre extravergine) oppure burro. In passato si usavano gli oli a disposizione (raramente di oliva nel nord e in montagna) e il burro, ma più frequentemente i grassi animali: midollo, lardo, strutto, pancetta, guanciale eccetera.
I grassi vanno moderatamente riscaldati (non molto, e soprattutto mai fino al punto di fumo!) prima di aggiungere le verdure. Poi si segue la cottura mescolando spesso e controllando che le verdure non si asciughino troppo. C’è sempre il rischio che qualche parte bruciacchi. In tal caso aggiungete un po’ di acqua calda, oppure (meglio) di brodo. Se state soffriggendo con grassi di maiale (e solo in questo caso) è consigliabile sfumare con poco vino.
Qual è il grasso migliore?
I grassi non sono tutti uguali, ma il migliore è sicuramente quello che vi piace di più. Questa regola è assoluta e immutabile. Anche se ci sono ovvie esigenze di opportunità che ciascuno è sicuramente in grado di valutare. È evidente che per fare una delicata minestrina di verdure, forse è meglio evitare il soffritto con il guanciale. Ma è una vostra scelta.
Quel che è certo è che il grasso usato cambia radicalmente il carattere aromatico del soffritto all’italiana. Cosa che peraltro vale anche nell’ambito di uno stesso grasso. Nel caso dell’olio di oliva, per esempio, in genere si preferisce quello extravergine. Il che va benissimo, ma a condizione che sia un extravergine delicato, senza sentori eccessivamente fruttati: altrimenti molto meglio un semplice olio di oliva.
In generale, i grassi non dovrebbero essere considerati intercambiabili. Gli spettri aromatici dell’olio e del burro – per fare l’esempio più scontato – non sono uguali. Il burro tende a coprire i sapori degli altri ingredienti. È quindi ottimo per i risotti e ovunque si vogliano amalgamare sapori cremosi (es: latte e formaggi) e/o sulfurei (es: uova e asparagi). Ma per la maggioranza delle ricette è preferibile l’olio, che copre molto meno gli altri sapori. Non che usare il burro con le verdure sia sbagliato, ma deve essere una scelta motivata. Mentre per tutte le ricette che hanno sapori forti e caratteristici (aglio, peperoncino, rosmarino eccetera) o acidi (pomodori) è sicuramente da preferire l’olio.
Tenete comunque presente che le regole cambiano e i gusti pure. Recentemente si sta diffondendo la moda di cucinare il soffritto all’italiana senza grassi. Si mette il trito direttamente nel tegame e si bagna con un bicchierino di acqua calda, cuocendo a lungo (30 minuti) su fuoco dolcissimo e coperto, fin quasi a disfare le verdure.
Variazioni al soffritto all’italiana di cipolla, sedano e carota
Il soffritto all’italiana propriamente detto è solo quello composto da cipolla, sedano e carota. Tuttavia, nella pratica, sono considerati tali anche i soffritti che sostituiscono la cipolla con porri, cipollotti oppure scalogni.
In tutti i tre casi non cambia nulla, né per le quantità né per il metodo e i tempi di cottura.
A volte si aggiunge anche uno spicchio di aglio (tritato o affettato o schiacciato), come semplice arricchimento al soffritto all’italiana di base. Questa aggiunta è frequente nelle regioni del Centro, spesso con l’ulteriore aggiunta di una erba aromatica: in genere prezzemolo o basilico. Di quest’ultimo sono le foglie ad essere sminuzzate e soffritte con le altre verdure. Nel caso del prezzemolo, invece, per il soffritto iniziale tradizionalmente si consiglia l’uso dei soli gambi tritati, il cui aroma è più intenso delle foglie.
Una variante specifica al soffritto all’italiana è quello con la pancetta, il guanciale o con altro grasso di maiale. In questo caso si taglia la pancetta a dadini e la si mette ad appassire in un tegame insieme a poco olio. Si lascia giusto il tempo necessario a che il grasso inizi a sudare (2 minuti scarsi) e si aggiunge il trito del soffritto all’italiana. Dopo 10 minuti di cottura a fuoco lento si aggiunge una spruzzata di vino bianco secco e un cucchino di concentrato di pomodoro stemperato in pochissima acqua calda. Quindi si completa la cottura per altri 5-10 minuti.
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